Francesca Danesi
I – Polisemia del concetto di limite
Apertura
Limite, forse dal latino limus (obliquo, di traverso) e, forse, limes (soglia, abitazione, inizio), rievoca la linea di confine naturale ma anche giusta misura, con allusione agli oltrepassamenti possibili. Il limite richiama il “confine”, linea artificiale fissata assieme (con-), marca di inclusione/esclusione, di assegnazione proprietaria, ma anche confino politico, prigione a cielo aperto.1
Il limen, come dispositivo di separazione o di passaggio, come confine, margine o soglia, come elemento di delimitazione o di relazione, è nozione fondamentale per l’uomo: senza la presenza di una linea di demarcazione, non esisterebbero categorie di pensiero come il dentro e il fuori, l’inclusione e l’esclusione, l’interno e l’esterno, e tante altre dicotomie e concetti su cui si fondano il pensiero umano e, di conseguenza, le nostre scelte.
Nell’emblematica opera di Marcel Duchamp, Porte:11, rue Larrey (1927), una porta, incardinata nell’angolo tra due stanze, funge da congegno per aprirne una e assieme chiuderne l’altra, mettendo in comunicazione l’ambiente centrale con quello aperto e, al contempo, separandolo da quello chiuso. In origine era installata tra l’atelier, il soggiorno e il bagno della casa parigina dell’artista e serviva da diaframma per articolare lo spazio e modulare i rapporti tra i tre distinti ambiti con un semplice gesto di apertura/ chiusura del battente. Spalancata e contemporaneamente serrata (a seconda del punto di vista dell’osservatore), o ambiguamente dischiusa, quest’opera ben rappresenta la polisemia del concetto di limite.
Oggi – nell’epoca delle infinite possibilità di spostamento e connessione, nell’era in cui il progresso scientifico-tecnologico pare aver superato ogni precedente frontiera e in cui la globalizzazione alimenta crisi talmente profonde da mettere in discussione non solo la concezione di confine, ma anche di diritti umani, libertà e democrazia – urge una breve ricognizione del “perimetro” dell’idea di limite, soffermandosi a osservarne gli orizzonti di senso, “in modo da essere meglio in grado di definire l’estensione della nostra libertà e di calibrare la gittata dei nostri desideri”.2
Dei limiti nella globalizzazione
La globalizzazione, da un lato, ha abbattuto le limitazioni del libero commercio planetario e della circolazione di flussi di informazioni e capitali finanziari, dall’altro non ha ancora rimosso gli ostacoli a una più equa distribuzione di diritti e risorse, pertanto determina problematiche come “crisi ecologiche e umane sempre più urgenti”3, disuguaglianze, tensioni e conflitti politici e sociali, mutamenti climatici, inquinamento ambientale, esaurimento delle risorse naturali, volgendo pericolosamente verso la distruzione del pianeta e dell’umanità stessa. E non accenna a smantellare le frontiere che milioni di persone sono costrette a tentare di attraversare per sfuggire, sempre più numerose4, ai problemi sopra menzionati.
Già nel 2002 Naomi Klein, analizzando la crisi nel passaggio tra il vecchio e il nuovo millennio, ne rileva le incipienti problematiche ambientali e sociali, ricorrendo, per sintetizzare la duplice accezione del fenomeno globale, proprio alla metafora di due differenti tipologie di limite: il “recinto” e la “finestra”.
In questo concetto coesiste infatti la doppia e opposta natura di separazione e apertura: può costituire una barriera per proteggere qualcosa – come, in antichità, i recinti sacri che identificavano un’area abitata dalla divinità, delimitandola dall’illimitato esterno – o un muro/recinto reale o virtuale5 per escludere qualcuno; oppure può trasformarsi in un varco che permette la comunicazione tra differenti mondi.
Demarcazione, distinzione, confine
L’esistenza di un limite come frontiera, crinale, linea terminale e divisoria, sia in senso fisico sia filosofico, è necessaria a poter osservare qualsiasi fenomeno. La stessa etimologia del termine “definizione” richiama l’azione del tracciare dei confini che contengano il senso di un concetto. Una discontinuità/demarcazione/stacco/contorno rende distinguibile una forma come figura rispetto allo sfondo. Una superficie spaziale non può essere riconosciuta come luogo senza un margine fisico o simbolico che, contenendola, renda percepibile e riconoscibile tale porzione di spazio come area unitaria. Molte ricerche artistiche, in primis il minimalismo, hanno ridotto la definizione formale ai minimi termini: rappresentazioni bidimensionali di bordi o superfici che identificano un ambito spaziale interno, segnando i limiti estremi di tale area o regione (come nei quadrati a terra di Carl Andre e di Sol LeWitt6), o installazioni tridimensionali, in cui i volumi sono evocati nella loro interezza attraverso la localizzazione nello spazio delle sole linee terminali (come nelle opere luminose di Massimo Uberti, costituite da tubi al neon che disegnano evanescenti presenze architettoniche).
Misura ponderata, proporzione umana, parametro di riferimento
Il valore stesso del limite […] appartiene alla natura in generale e alla esistenza umana in particolare, intimamente connesse con la finitudine della esistenza. […] Non è forse urgente ripristinare un valore positivo del limite, assegnando al principio etico di responsabilità un ruolo preminente nell’agire umano e in particolare nella conoscenza?7
Un’altra dimensione a cui apre il concetto di limite come termine (spaziale o temporale) che non deve essere oltrepassato è la misura ponderata, la proporzione umana, il parametro di riferimento, il “principio etico”. Come nel celebre monito di Orazio “vi è una misura nelle cose, vi sono precisi confini oltre i quali e prima dei quali non può consistere il giusto”8, il limite può costituire un vincolo di rispetto e tutela per preservare un equilibrio. Nel caso della convivenza civile, ad esempio, le regole stabilite per legge sono orientate a proteggere l’esistenza della comunità, imponendo talvolta anche divieti per non limitare la libertà altrui ed è compito della politica armonizzare e progettare i rapporti tra i diversi soggetti sociali, definendo con equità e giustizia tali apparati normativi. Nella tutela paesaggistica i vincoli salvaguardano un ambito di particolare pregio da trasformazioni nocive alla conservazione e valorizzazione dei suoi valori identitari, estetici, ambientali.
L’attitudine a distinguere i limiti
Per gli esseri umani, la cui esistenza ha inevitabilmente un termine, la consapevolezza della propria finitudine dovrebbe responsabilizzare e imporre di ponderare le proprie scelte individuali e collettive, al fine della conservazione della vita. Eppure nella storia umana, e in particolare nel secolo breve, abbiamo avuto già troppe testimonianze di come sia tragicamente facile superare il discrimine tra umanità e scelleratezza, di come possa diventare “banale” il male.9 Proprio per evitare altre degenerazioni, come rimarca Remo Bodei:
L’attitudine a riconoscere e distinguere i limiti è […] un’arte che va coltivata e praticata con cura, lasciandosi guidare, nello stesso tempo, dall’adeguata conoscenza delle specifiche situazioni, da un ponderato giudizio critico e da un vigile senso di responsabilità.10
Se, in antichità, vigeva un religioso rispetto per il divieto di oltrepassare la misura, nel timore di macchiarsi di hybris, con la modernità si è scatenata un’accelerata rincorsa al superamento di ogni precedente limitazione, impresa estrema, resa possibile dal progresso scientifico e dai mezzi tecnologici che questo fornisce. Anche oggi che son così evidenti le già richiamate conseguenze dello sviluppo smodato, continua a prosperare l’“immaginario sviluppista”11, che fonda la propria ideologia sul continuo superamento o spostamento dei limiti, incapace, per contro, di stabilire barriere o freni a tutela della preservazione delle forme di vita. In questo scenario, si profila la prospettiva della decrescita, sostenuta da Serge Latouche come alternativa “non soltanto per preservare l’ambiente, ma anche per ripristinare un minimo di giustizia sociale senza il quale il pianeta è condannato a esplodere”.12
Intervallo, intermezzo, spazio interstiziale, “fra”
Il discrimine tra opposte e complementari dimensioni può presentarsi come fragile crinale, sfrangiarsi e stemperarsi in un caos indistinto o ampliarsi fino a divenire zona intermedia, intervallo che “conteso tra opposte fronti, corrisponde ad entrambe con nessuna di esse coincidendo”13, perciò regione di fertili contaminazioni, come nel caso delle periferie urbane o, in senso metaforico, nella ricerca attuale, sia scientifica sia artistica, i cui territori “trans-” e “inter-” disciplinari sono forieri di rinnovati punti di osservazione.
II – Declinazioni architettoniche del limite
In campo architettonico emergono almeno tre accezioni di questo concetto: il limite come “margine” (elemento imprescindibile per l’esistenza di una spazialità interna, dunque della stessa Architettura), come “soglia” (ovvero apertura al rapporto tra uno spazio e altri o tra l’interno e l’esterno) e come “zona periferica o interstiziale”.
Margine, recinto, barriera
Non esiste […] spazio senza margine, in architettura. Sinteticamente, si può dire che la dialettica dei materiali dell’architettura è quella che si stabilisce fra un “aperto”, cioè un invaso spaziale circoscritto nei suoi margini (sia esso chiuso o all’aperto) e accogliente; tali margini o limiti, che lo perimetrano verso un esterno; i divisori, che come diaframmi sensibili lo articolano al suo interno; e le cose, gli arredi fissi e mobili che lo attrezzano.14
Il margine è una condizione esistenziale per l’Architettura perché, delimitando uno spazio, crea “internità”, la condizione “caratterizzante e specifica”15 di quest’arte. Includendolo, ne rende riconoscibile l’estensione e l’identità, e lo trasforma in luogo abitabile. I limiti/margini architettonici assolvono molteplici funzioni: dal punto di vista funzionale isolano o mettono in comunicazione l’ambiente chiuso con lo spazio aperto e rappresentano la relazione tra gli ambiti privato e pubblico; dal punto di vista compositivo pongono in risalto una costruzione antropica rispetto al suo intorno; dal punto di vista estetico elaborano poeticamente il rapporto tra l’interno e il contesto esterno; da quello formale costituiscono la sintesi e la traduzione materiale di tutti i precedenti aspetti.
Anche quando tali margini, a cominciare dall’architettura moderna, tendono a smaterializzarsi, non smarriscono la propria importanza. Nella Neue Nationgalerie di Ludwig Mies van der Rohe (Berlino, 1968), il piano terra, destinato a esposizioni temporanee, è un ampio spazio libero, contenuto non più tra pareti (il perimetro infatti e totalmente vetrato), ma tra un aulico basamento (un podio rivestito di granito scuro) e un maestoso coronamento (un’aggettante copertura densa di riferimenti classici). Questo tempio contemporaneo, “una sorta di altare all’arte moderna”16, è l’incarnazione del less is more dell’architetto tedesco, il cui riduzionismo formale isola e enfatizza gli elementi essenziali per la massima purezza e espressività con il minimo delle componenti.
Soglia, passaggio
Possiamo operare una estensione di significato, e pensare la soglia in termini tridimensionali, così da definire una porzione di spazio in cui si riconoscono tre ambiti distinti: lo spazio davanti al limite, il limite (il varco di passaggio) e lo spazio oltre il limite; che corrispondono a tre precisi momenti del gesto del passare: attendere, varcare ed essere accolti.17
In architettura il limite – inteso come “soglia” che separa due ambienti o uno spazio privato da uno pubblico, come apertura che può consentire il passaggio, come varco che permette l’attraversamento, l’accesso o l’uscita – si traduce in molteplici elementi spaziali: nelle forometrie delle quinte murarie, innanzitutto le porte (d’ingresso, di servizio o di collegamento tra vari ambienti) e le finestre; in veri e propri spazi abitabili, posti a filtro tra il dentro e il fuori, come logge, porticati, verande e le finestre abitabili (dotate di sedute per potervi comodamente sostare e contemplare l’esterno); oppure, a una scala d’osservazione ancor più ampia, nelle delimitazioni/discontinuità fisiche e simboliche che definiscono qualitativamente il territorio urbano, differenziandolo da quello extraurbano. La perdita di qualità urbana e architettonica si riscontra nella difficoltà di scorgere un’identità in aree indefinite come città diffuse, lineari o continue. Col venir meno di chiari segni di demarcazione, quali i margini fisici costruiti (come le passate cinte murarie, erette a scopi difensivi)18; nelle metropoli odierne le soglie divengono instabili:
La dinamizzazione della soglia e la sua conseguente instabilità giungono a produrre quelle radicali modificazioni metropolitane in cui rapidamente si affievoliscono le delimitazioni geografiche, sociali, funzionali.19
Zona, regione, fascia marginale, periferia
I limiti delle città contemporanee si espandono sino a divenire zone20 sempre più estese, regioni incluse e contemporaneamente escluse21 dall’ambito urbano. Le periferie, definite tali in relazione a un centro di cui costituiscono la propaggine estrema, incarnano il punto terminale della città e, proprio in quanto territori di frontiera, “rappresentano lo scenario possibile dove allestire e dare vita a dei veri e propri laboratori dove si sperimentano nuove alchimie sociali e culture”.22
Conclusione
Siamo sulla soglia, nel luogo dove interno ed esterno cessano di confinarsi l’un l’altro perché lì si combinano, si avvolgono tra di loro, non sono più appropriabili nella loro distinzione. Siamo sulla soglia della casa, ma questa soglia mobile può essere ogni angolo della casa stessa, anche il più protetto. E, al tempo stesso, per dir così, siamo sulla soglia di noi stessi, alla soglia del nostro essere soggetti.23
Il limite è un concetto cardinale, in Architettura come in ogni altra forma di pensiero umano. Come la porta dadaista evocata in apertura, è assieme nesso e separazione, è una cerniera in grado di separare e collegare: può essere soluzione di continuità che permette di dividere/distinguere diverse entità; può fungere da margine o da barriera (materiale o immateriale) per proteggere un ambito che si desidera tutelare; può farsi elemento di congiunzione, soglia, punto di contatto tra differenti territori; infine può dilatarsi e divenire “luogo” abitabile in cui sostare, intervallo, zona interstiziale o regione liminare nella quale non si è né dentro né fuori, e si può godere di un punto di vista privilegiato. Questo breve scritto giunge al suo termine, ma auspico che, come la porta di Duchamp, nel chiudersi, stia aprendo a ulteriori dimensioni…
1 Pietro Zanelli, “Soglie, affinità e corrispondenze. Verso costellazioni critiche di risveglio”, in Giovanni Comboni, Marco Frusca, Andrea Tornago (a cura di), L’abitare e lo scambio. Limiti, confini, passaggi, Milano-Udine, Mimesis Edizioni, 2013, p. 19.
2 La citazione così prosegue: “a questo scopo sarà utile conoscere i molteplici e concreti aspetti dei singoli limiti, riscoprirne, di volta in volta, le ragioni, stabilirne i criteri di rilevanza e compierne un’attenta mappatura”. Remo Bodei, Limite, Bologna, Il Mulino, 2016, p. 12.
3 “La crisi non ha rispettato nessun confine nazionale. Un’economia globale in forte espansione e concentrata sulla ricerca di utili a breve termine si stava dimostrando incapace di rispondere a crisi ecologiche e umane sempre più urgenti; incapace, per esempio, di abbandonare i combustibili fossili per fonti di energia sostenibile.” Naomi Klein, Recinti e finestre. Dispacci dalle prime linee del dibattito sulla globalizzazione, Milano, Baldini&Castoldi, 2003, p. 10.
4 Nei prossimi decenni sono previsti altri milioni di profughi a causa delle conseguenze del surriscaldamento globale: il rapporto Lancet Countdown stima un miliardo di nuovi rifugiati entro il 2050.
5 “Tutti questi recinti sono collegati: quelli reali, fatti di acciaio e filo spinato, sono necessari per far rispettare quelli virtuali, che mettono le risorse e la ricchezza fuori dalla portata di così tante persone.” N. Klein, op.cit., p. 17.
6 Per esempio Three Squares di Sol LeWitt (1966) o 144 Magnesium Square di Carl Andre (1969).
7 Renzo Mulato, “La relazione tra limite e sacro come fondamento della res publica”, in G. Comboni, M. Frusca, A. Tornago (a cura di), op.cit., p. 151.
8 “Est modus in rebus: sunt certi denique fines, quos ultra citraque nequit consistere rectum”, in Orazio, Satire, I, 1, vv. 106-107, riportato e tradotto in R. Bodei, op.cit., p. 100.
9 Hannah Arendt, La banalità del male, Milano, Feltrinelli, 1964.
10 R. Bodei, op. cit., p. 121.
11 Serge Latouche, Decolonizzare l’immaginario. Il pensiero creativo contro l’economia dell’assurdo, Bologna, Emi, 2004, p. 10 e passim.
12 Latouche così prosegue: “Sopravvivenza sociale e sopravvivenza biologica sembrano strettamente legate. I limiti del patrimonio naturale non pongono solamente un problema di equità intergenerazionale nella spartizione delle disponibilità, ma anche un problema di giusta ripartizione tra gli esseri umani attualmente viventi.” Ivi, p. 15.
13 Sergio Crotti, Figure architettoniche: soglia, Milano, Edizioni Unicopli, 2000, p. 7.
14 Gianni Ottolini, Forma e significato in architettura, Milano, Libreria Cortina, 2014, p. 17.
15 “Bruno Zevi per primo ha spiegato che esiste l’architettura quando c’è uno spazio interno, e questa categoria materiale dell’internità è anche per noi caratterizzante e specifica, ove sia intesa come realmente, e non solo immaginativamente, fruibile dal corpo umano, nella sua singolarità o collettività.” Ivi, p. 15.
16 “Mies van der Rohe immaginò un tempio di vetro e acciaio posto su un podio, una sorta di altare all’arte moderna. L’effetto principale derivava dal modo in cui i sostegni in acciaio erano attentamente proporzionati e disposti in un modo che suggeriva una versione attualizzata delle colonne classiche, mentre l’ampia copertura sporgente in acciaio evocava l’idea di trabeazione. La griglia rettangolare del soffitto richiamava, nella semplicità delle cassonature e dei graticci, alcuni progetti di Schinkel.” William J. T. Curtis, L’architettura moderna dal 1900, London, Phaidon, 2006, p. 516.
17 Barbara Bogoni, Internità della soglia. Il passaggio come gesto e come luogo, Roma, Aracne, 2006, p. 12.
18 Le tracce delle antiche fortificazioni, spesso oggi quasi invisibili, ancora identificano i nuclei storici di molte conurbazioni.
19 S. Crotti, op.cit., p. 12.
20 “Lato di dentro/lato di fuori che si stabilisce a partire da una separazione fisica o mentale, la Zona tanto sorge da un limite come designa il limite stesso, lo spazio limitrofo e l’azione di cingere, attorniare, proteggere.” Lucas Parente, “Della zona in quanto spazio pregnante”, Aria, n. 1, settembre-ottobre 2017, p. 38.
21 “La ‘regione’ presenta natura ambigua e mutevole che ogni volta si delinea attraverso l’intrinseca dialettica tra parti incluse ed escluse dall’ambito iscritto e simultaneamente circoscritto”. S. Crotti, op.cit., p. 12.
22 Massimo Ilardi, Il tramonto dei non luoghi. Fronti e frontiere dello spazio metropolitano, Roma, Meltemi, 2007, p.18.
23 Nella parte precedente, il filosofo Pier Aldo Rovatti scrive: “Ma non ci deve sfuggire che la condizione globale, in cui storicamente ci troviamo, è la cornice di realtà in cui eventualmente accade questa scoperta, la quale diventa così un’urgenza non solo filosofica ma politica. Riguarda la politica dei soggetti: la nostra possibilità di contromanovra – direbbe Foucault. Dove siamo? Qual è il luogo deputato di questo spazio di gioco per cui ne va della nostra possibilità di abitare la casa? Forse è la porta stessa. Più precisamente, siamo sulla soglia.” Pier Aldo Rovatti, Possiamo addomesticare l’altro? La condizione globale, Udine, Forum, 2007, pp. 46-47.
Complimenti. Un testo veramente interessante.
Le fonti sono autorevoli e pregevole la breve analisi sul limite.